Martedì 18 ottobre , negli spazi della Columbia University nel cuore della Grande Mela, un glorioso passato tornerà miracolosamente alla vita negli scatti suggestivi di un giovane fotografo italiano, Massimiliano Gatti. La personale che ha un titolo emblematico “ The Day Memory Dissolved”, il giorno in cui la memoria si è dissolta, e un sottotitolo ancora più eloquente nella sua drammaticità (“An artistic perspective on endangerd archeological sites in the Middle East”, uno sguardo artistico sui siti archeologici mediorientali in via di estinzione ), è stata interamente stampata e montata (stampa fotografica e Kapaplast 10 millimetri) dalla squadra di Spazio81, che della mostra di Gatti è sponsor tecnico.
Il giovane e talentuoso fotografo nato a Pavia 34 anni fa, ma apprezzatissimo negli Usa, dove ha già esposto le sue opere sia a Los Angeles che a Washington D.C. e che ora approda a New York City con 25 splendide testimonianze di un mondo scomparso o in via di estinzione, è diventato suo malgrado il cronista di un dramma.
«Le immagini che compongono il percorso della mostra di New York sono state scattate qualche anno fa mentre lavoravo nei siti archeologici della Siria e dell’Iraq, prima che i mostri sanguinari dell’Isis cominciassero la loro tremenda opera di distruzione», ha raccontato infatti Gatti. In quelle terre, culla delle più antiche civiltà del pianeta, molte delle rovine immortalate dalla sua macchina fotografica purtroppo oggi non esistono più…
«Dopo essere sopravvissute per millenni, sono state spazzate via dalla violenza fondamentalista e folle dei terroristi del Califfato in una manciata di ore, di istanti…».
Tra le fotografie in mostra ci sono anche molti scatti realizzati da Gatti a Palmira, che nell’antichità fu una delle principali città della Siria e il cui tempio, o meglio le meravigliose rovine che erano giunte fino a noi sfidando le erosioni del venti, le guerre e le calamità naturali, sono state completamente distrutte nel 2015 dai barbari del Califfato.
«Durante la mia permanenza in Siria, Palmira era il mio rifugio…Prima del saccheggio, era un luogo magico, con piscine naturali che spezzavano l’aridità del deserto», ha confidato il giovane fotografo pavese.
Le fotografie in mostra a New York sono contraddistinte da una luce bianca che rende le rovine evanescenti.
«È la mia cifra stilistica. Ricerco quella luce, che è la luce dell’alba nel deserto, perché essa mi permette di mostrare le rovine per quello che sono: fantasmi del lontano passato, testimonianze della memoria che si va dissolvendo…», conclude l’artista.
La mostra di Gatti, organizzata da “The Italian Academy of Columbia University”, con i resti di Palmira scolpiti nelle luce che scolora nella trasparenza, è una documentazione drammatica, il presagio di ciò che stava per accadere. Con la sua macchina fotografica ha reso quelle memorie in dissolvenza un monito per tutti: i barbari sono alle porte, fermiamoli prima che cancellino tutto quello che conta della nostra civiltà…